Da Rosa Ghislandi riceviamo J. Bazzi, Febbre, Fandango.

A questo proposito Rosa ci scrive: “Storia di vita, semplice e scorrevole. Jonathan nato a Rozzano allevato da sostituti, tirato su e gestito da altri. Rozzano quartieri di case popolari di spaccio, contesto difficili proprio come il suo contesto famigliare. Lasciato indietro perché, quanto è ingombrante un bambino di tre anni; Jonathan non sa menare, ma legge scrive, balbetta e gli piacciono i maschi.
Ha contratto l’HIV ma non vuol essere compatito, non è il paziente che prende atto e si adegua o che convive con un segreto ma ne parla anzi esonda e non si ferma più.
Jonathan schiavo dell’ansia, sempre con il bisogno di conoscere e di predisporre una serie di soluzioni, si compensa con il suo compagno Marius, bravo invece a far sprofondare i problemi dove non si vedono e che li affronta solo quando è inevitabile.
Bel libro che educa e non da un punto di vista medico. Non si può fuggire dai contesti in cui si è vissuti ma si può essere diversi dai contesti vissuti e la famiglia comunque rimane nonostante tutto.

“Sono nato a Rozzano ma non so menare, leggo, scrivo, balbetto, mi piacciono i maschi. Ho contratto l’HIV ma non sono il paziente che prende atto e si adegua, che convive con un segreto che centuplica l’importanza della diagnosi. A Rozzanno non sapevo cosa facevo: d’istinto seguivo le vene d’oro nella miniera, le cose più belle. Giocavo da solo, leggevo – la mia resistenza. Facendolo ho iniziato a spostarmi, ero altrove anche quando ancora non sembrava lo fossi.”

Dalla presentazione dell’editore:

Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue.
Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato.

A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano.

Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore.

Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso. Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un ragazzo come tanti.

Un esordio letterario atteso e potente.