Da Stefano Piantini rubo G. Ceronetti, Qohélet o l’Ecclesiaste.
Stefano scrive: “il Qoelet o l’Ecclesiaste. Questo capolavoro poetico è contenuto nell’Antico Testamento, dunque nella Bibbia ebraica e cristiana. Chi sia stato l’Ecclesiaste ancora non è noto. Testo di una bellezza, profondità e intelligenza fulminanti. E’ stato scritto nel primo secolo avanti cristo, sembra scritto oggi. La Poesia moderna gli deve moltissimo, da Pound a Dylan, da Eliot ai Byrds (il loro celeberrimo pezzo “Turn, Turn, Turn” è una citazione dal Qoelet, parola per parola). Da leggere, a mio parere, nella superba e sofferta versione di Ceronetti.”
Ha la sua ora tutto
E il suo tempo ogni cosa sotto il cielo
C’è il tempo di nascere
e il tempo di morire
il tempo di piantare
e il tempo di estirpare
il tempo di uccidere
e il tempo di medicare
il tempo di demolire
e il tempo di costruire
il tempo delle lacrime
e il tempo delle risa
il tempo dei gemiti
e il tempo dei balli
Dalla presentazione dell’editore:
Libro di miseria, libro alla miseria di tutti sacro. Al vertice della sua musica, in figure incorrutibili, una Danza della Morte tra le più esatte, forse la più preziosa, un sortilegio religioso amorale, la mano della giovinezza agiata in un eccesso di più, in modo splendido e sperperato. Non distingui in Qohélet l’oracolo dall’amico, l’aristocratico brutale del pensiero dal rapsodo popolare di storie e di proverbi, il chiaritore appassionato d’uomini dal disertore iroso dei loro contatti. Dall’introduzione di Guido Ceronetti.
Ora anche in Adelphi, che per presentare il volume scrive:
Era il 1955, e in una piccola aula della sinagoga di Torino il giovane Guido Ceronetti, studioso principiante di ebraico biblico, si applicava, sotto la guida del rabbino, a «una stentata versione interlineare» del rotolo detto nella Vulgata Ecclesiaste: il quarto dei libri sapienziali dell’Antico Testamento, redatto da un ignoto autore del III secolo e da alcuni interpreti attribuito a Salomone stesso; e dal rabbino imparò a dirne i versetti, «le ripetizioni martellanti in specie, facendo smorfie di rabbia e di disgusto». Da allora, per quasi cinquant’anni – nel corso di quello che lui stesso definisce «un duello conradiano» –, Ceronetti ha continuato instancabilmente a confrontarsi con il «tumulto verbale» e la «disperata lucidità» di questo «libro assoluto», di questo grande «poema ebraico». Grazie a lui la parola più sconcertante della tradizione veterotestamentaria risuona nelle nostre orecchie in tutta la sua imperiosa, dolorosa violenza. «Fumo dei fumi, tutto non è che fumo»: così, per esempio, traduce Ceronetti lo Havèl havalìm, che è la risposta al tormentoso interrogarsi del Saggio sul senso delle cose terrene, quelle in cui vanamente l’uomo cerca sollievo perché al pari di lui si dileguano: risposta che «uccide tutte le brame» e «promulga spietatamente la legge del Nulla». Oltre all’ultima versione, terminata nel marzo 2001, questa nuova edizione ci offre la prima, che risale al 1970; fra le due, l’amplissimo ventaglio delle riflessioni che per tutti questi anni hanno accompagnato il lavoro della traduzione: pagine, come sempre, acuminate e illuminanti, in cui Ceronetti dialoga con i grandi traduttori ed esegeti di Qohélet – da san Girolamo a Michelstaedter.