Da Marco Grando riceviamo Virginia Woolf, Gli anni.

A questo proposito Marco ci scrive: “Che dire di Virginia Woolf che non sia già stato detto. Una narrazione famigliare dal punto di osservazione di fratelli, sorelle e cugini.”

“Si lasciò cadere a terra, e guardò la campagna ondulata che saliva e scendeva, lontano, lontano, finché chissà dove, laggiù, raggiungeva il mare. Incolta, disabitata, esisteva da sé, per sé, senza città e senza case, vista da quell’altezza. Scuri solchi d’ombra, luminosi respiri di luce, s’alternavano. Poi, mentre guardava, la luce si mosse e il buio si mosse; luce e ombra viaggiarono su per le colline e sopra le vallate. Un mormorio profondo le cantò nelle orecchie – la terra, che cantava a se stessa, levava un coro, in solitudine. Rimase in ascolto, distesa. Era felice, completamente felice. Il tempo non esisteva.”

Dalla presentazione dell’editore:

Fu solo nel 1937 che il pubblico poté leggere “Gli anni”, la cronaca della storia di una famiglia della upper middle class inglese, i Pargiter, dal 1880 ai primi anni trenta. Era dal 1931 che la Hogarth Press, la casa editrice dei coniugi Woolf, non dava alle stampe un romanzo di Virginia. Gli anni fu quello di maggior successo, l’unico che entrò nella classifica del “New York Times” dei libri più venduti. Ciò è dovuto a diversi fattori, tra cui la crescente fama della romanziera e la sua maggior partecipazione alla vita pubblica. Ma un motivo non trascurabile sembra essere il genere al quale più facilmente è ascrivibile l’opera, il romanzo di famiglia. Una famiglia in cui le relazioni più frequentemente prese in esame non sono quelle dirette, come tra padri e figli per esempio, ma quelle tra fratelli e sorelle, tra cugini, o tra zie e nipoti, spesso non sposati. Gli anni, pur essendo stato concepito già nel 1931, sembra risentire dell’atmosfera di pericolo incombente che la salita al potere dei movimenti fascisti in Europa stava portando con sé. Negli stessi anni in cui Joyce stava completando il suo testamento narrativo, Finnegans Wake, Virginia Woolf scriveva dunque la propria “capsula del tempo” da consegnare ai posteri.

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