Da Milena Marani riceviamo Y. Khadra, L’attentato.
“Non ricordo di avere sentito l’esplosione. Forse un sibilo, come il fruscio di una stoffa che viene lacerata, ma non ne sono sicuro. La mia attenzione era rapita da quella specie di divinità intorno alla quale sciamava una turba di devoti, mentre la guardia pretoriana cercava di aprirle un varco fino all’automobile. «Fate passare, per favore. Per favore, scansatevi». I fedeli sgomitavano per vedere lo sceicco da vicino e sfiorare un lembo del kamis. Il vecchio osannato si voltava ora qua ora là, per salutare un conoscente o ringraziare un discepolo. Nel volto ascetico brillava uno sguardo tagliente come la lama di una scimitarra. Invano ho cercato di divincolarmi dai corpi in estasi che mi stritolavano. Lo sceicco si è infilato nell’auto, ha agitato una mano dietro il vetro blindato mentre le due guardie del corpo prendevano posto accanto a lui… Poi più niente. Qualcosa ha solcato il cielo ed è balenato in mezzo alla carreggiata come un lampo; l’onda d’urto mi ha colpito in pieno, disperdendo l’assembramento che mi teneva prigioniero della sua frenesia. In una frazione di secondo il cielo è crollato e la strada, un attimo prima gravida di fervore, si è ritrovata sottosopra. Il corpo di un uomo, o meglio di un ragazzino, ha attraversato il mio smarrimento come un flash senza luce. Cos’è successo?… Una valanga di polvere e fuoco mi afferra e mi scaglia in mezzo a mille schegge. Ho la vaga sensazione di sfilacciarmi e dissolvermi nel soffio dell’esplosione… A pochi metri – o forse ad anni luce – la macchina dello sceicco sta bruciando. Tentacoli voraci la avvolgono, diffondendo nell’aria lo spaventoso odore della cremazione. Il loro crepitare deve essere terribile, ma non lo percepisco. Una sordità fulminante mi ha sottratto al frastuono della città. Non sento nulla; non provo nulla; non faccio che fluttuare, fluttuare. Volteggio per un’eternità prima di cadere a terra, rintronato, stracciato, ma stranamente lucido, gli occhi più grandi dell’orrore che si è abbattuto sulla strada. Nel momento in cui tocco il suolo tutto s’immobilizza; le fiammate sulle lamiere contorte, i proiettili, il fumo, il caos, gli odori, il tempo…”
Dalla presentazione dell’editore:
L’attentato non è un romanzo sul terrorismo, per quanto ne sia pervaso dall’inizio alla fine: non è sulle circostanze ideologiche o storiche di esso; sulla giustizia o il torto di una causa, benché alcune pagine incancellabili pongano il lettore nel mezzo della tragedia palestinese. È un romanzo, lucido e lacerante, sulla paranoia che il terrorismo genera quando diventa orrore quotidiano; quando non è esterno ed estraneo, ma si pone come alternativa esistenziale con cui ciascuno deve, nessuno escluso, fare i conti.
Amin Jaafari è un chirurgo di Tel Aviv, figlio di beduini naturalizzato israeliano, ottimamente integrato nel successo di una carriera costruita per mezzo del «sedurre e rassicurare», in cui «ogni successo era un’offesa al loro rango». Un attentato di kamikaze vicino al suo ospedale conduce alle sue cure feriti su feriti e arrivano, insieme ad essi, gli agenti dei servizi segreti che arrestano Amin e cominciano a interrogarlo per giorni. Sihem, la bella, intelligente, ammirata moglie di Amin è tra le vittime ma porta sui resti i segni di essere lei l’attentatrice. Pressioni degli investigatori e intimidazioni della gente non convincono il medico. Liberato, giorni dopo, scopre a casa la prova dell’incredibile: è lei l’attentatrice. Così inizia un’indagine personale: «voglio sapere chi ha indottrinato mia moglie, l’ha bardata di esplosivo» ma soprattutto perché «non sono stato capace di farle preferire la vita». Nessuno lo sarebbe stato, perché a tutto si sopravvive ma «non si sopravvive al disprezzo, quando solo questo si è visto per tutta la vita» e «come morire degnamente» diventa la sola «idea fissa».
La ricerca porterà alla verità dei fatti. Sarà per Amin un percorso iniziatico, che si tinge inevitabilmente di ricordi personali. La rivelazione della realtà, di fronte a cui era cieco, degli artefici dell’odio e dei luoghi dove nasce. Ma soprattutto l’immersione nella mente di chi sceglie, contro tutta la felicità e la vita, ciò che crede sia il martirio.
Yasmina Khadra, pseudonimo di Mohamed Moulessehoul, è uno scrittore stimato e apprezzato nel mondo intero. Nato in Algeria nel 1956, reclutato alla scuola dei cadetti a nove anni, è stato ufficiale dell’esercito algerino. Dopo aver suscitato la disapprovazione dei superiori con i suoi primi libri, ha continuato usando come pseudonimo il nome della moglie. Nel 1999 ha lasciato l’esercito svelando così la sua vera identità e ha scelto di vivere in Francia. In Italia sono pubblicati molti dei suoi romanzi, tra cui i due noir Morituri (1998) e Doppio bianco (1999), e Quel che il giorno deve alla notte (2009), miglior libro del 2008 per la rivista letteraria «Lire» (adattato a film nel 2012). Con Sellerio: Gli angeli muoiono delle nostre ferite (2014), Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini (2015), L’ultima notte del Rais (2015) e L’attentato (2016), dal quale è stato tratto il film di Ziad Doueiri.