Da Silvestra Sbarbaro riceviamo S. Amiry, Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea.

Silvestra scrive:

Non si tratta di una lettura recente ma purtroppo terribilmente attuale. Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea è una storia vera, la storia di Subhi, il miglior meccanico di Giaffa, e Shams, la ragazza di cui si innamora.

Inizia quasi come una favola, tra il profumo degli aranceti e i sogni di due adolescenti semplici, ingenui, che immaginano un futuro felice insieme.

Ma siamo nel 1947 e i britannici stanno per concludere il loro mandato in Palestina, non prima però di aver favorito una massiccia immigrazione sionista e l’ingresso nel Paese di armi sofisticate e, dopo il loro ritiro, la vita dei due ragazzi e di tutti gli abitanti di Giaffa viene sconvolta: assalti, attentati, espropri, demolizioni, esodi. La città delle arance d’oro si trasforma in un inferno. Le famiglie si disperdono, molti vengono uccisi, ed il racconto fatto dalle voci ingenue dei due ragazzi dà una visione ancora più atroce di quella che fu l’ occupazione della loro Terra da parte di un altro popolo, costringendo quello che già ci viveva all’esilio.

“Subhi non capiva. Com’era possibile che tutto il suo mondo si fosse frantumato in poche ore? Davanti agli occhi gli scorrevano le immagini delle tre giornate che avrebbero segnato per sempre il suo destino e quello della città. La raffica di ventimila proiettili. La tattica dei vagoni del treno. Il bombardamento della British Air Force. Giaffa si era svuotata. Quasi tutti se n’erano andati. Eppure, una silenziosa presenza aleggiava sulla città come una forza spettrale.” (p. 133)

Suad Amiry, palestinese nata a Damasco e residente a Ramallah, prendendo spunto dalla vicenda dei due ragazzi separati per sempre dalla cacciata dei palestinesi dalle loro case di Giaffa, denuncia il massacro di un popolo privato per sempre dei propri diritti e dedica questo libro a suo padre e a tutti coloro che sono morti nella diaspora mentre aspettavano di tornare a casa.

Dalla presentazione dell’editore:

Palestina, 1947. Giaffa è una città viva di mercati, caffè, strade affollate, aperta sul mare pescoso e chiusa da distese immense di aranceti profumati. Subhi è un ragazzo che sogna di diventare il Miglior Meccanico della città. È in effetti un talento e quando riesce a riparare una pompa d’irrigazione, il ricco uomo d’affari che lo ha messo alla prova gli fa confezionare, in segno di riconoscenza, un abito inglese in lana di Manchester. Subhi è al settimo cielo e con quell’abito acquista una nuova consapevolezza di sé e della città in cui si muove, ma soprattutto immagina di indossarlo, malgrado il caldo, per fare colpo sulla ragazza dei suoi sogni, la giovanissima e bellissima Shams. Peccato che non siano tempi facili, tanto più per le storie d’amore: gli inglesi, che da oltre vent’anni amministravano la Palestina, dichiarano concluso il loro mandato e finiscono con il fomentare le già forti tensioni tra gli ebrei sempre più numerosi e i residenti palestinesi. Nel 1948 arriva l’attacco deliberato, quello che fu chiamato Nakba, la catastrofe: le forze israeliane ben equipaggiate dalla Gran Bretagna bombardano Giaffa senza pietà, la occupano, la riducono a una città fantasma. Traditi gli accordi, sono disperse centinaia di famiglie, le abitazioni e gli aranceti sono espropriati, la vita quotidiana è sfigurata da uno stato di polizia. E in quel teatro di caos e di morte le giovani anime di Subhi e Shams, perduti l’uno all’altra, disegnano sulla mappa della Storia il loro destino, senza rassegnazione, illuminati dalla certezza di appartenere a una terra, alla gente che l’ha abitata, a una avventurosa speranza, che, come in un sogno, è di volta in volta l’apparizione di una mucca sfortunata, la morbida eleganza della lana di Manchester, o un coloratissimo volo di aquiloni. Suad Amiry ha saputo ascoltare i veri protagonisti di questo racconto, ha saputo narrare una promessa d’amore, ha saputo mettere nel cuore di un ragazzino la meraviglia di esistere e ha intessuto tutto questo dentro una delle pagine più drammatiche e meno note del secolo scorso.