Da Rita Pugliese riceviamo la recensione di M. De Kerangal, Un mondo a portata di mano.


Una delle voci più interessanti nel mondo della scrittura di oggi è senza dubbio quella di Maylis de Kerangal, scrittrice francese dal nome vagamente esotico.

Dei suoi romanzi colpisce soprattutto la scrittura, che finisce quasi per sovrastare la storia, la trama, i personaggi.

Ho letto tre suoi libri, a ritroso, ovvero partendo da Canoe, raccolta di racconti sul tema della voce, e arrivando a Riparare i viventi, che le ha dato una notorietà internazionale.

Perché la scrittura quindi? Perché nell’uniformità stilistica, soprattutto italiana a dire il vero, della narrativa contemporanea de Kerangal si distingue per la ricerca di un’espressione comunicativa del tutto originale. Un flusso continuo di parole, cercate, scovate, valutate, scelte sino all’individuazione di quella corretta e unica che può designare un oggetto, una percezione; un flusso di parole che avvolge il lettore immergendolo nel mondo dei personaggi.

La scrittrice sminuzza la realtà e il tempo narrativo, dilatando e ingigantendo le particelle, quasi tessere di un mosaico, che costruiscono la storia con un minuzioso lavoro di indagine e ricerca lessicale. Quando poi subentra la narrazione ordinaria dei fatti questa modalità narrativa cede così come la bellezza della scrittura, diventando più ordinaria.

Questo mi pare evidente in Un mondo a portata di mano, di cui vi consiglio la lettura. La prima parte, dedicata al mondo del trompe l’oeil, è un’immersione nella realtà materica dei colori, nella stratificazione di cui ciascuno è composto e con cui si è formato, così che il lettore finisce per sentirne, insieme ai protagonisti del romanzo, le valenze più profonde, per scoprirne le sfumature più nascoste e impensabili, le ruvidezze e le fluidità, fino a capirne il più profondo significato. Il lavoro di scavo degli artisti ricorda quello dello scrittore, alla ricerca della parola non tanto più bella, eufonica, ma soprattutto più inerente, intrinseca alla materia narrata.

Quando nella seconda parte del romanzo si approda alle vicende dei personaggi, giovani artisti che si avvicinano alle tecniche del trompe l’oeil sino a penetrarne i segreti e a farli propri diventandone degli straordinari esecutori, si avverte un cambio di passo nella narrazione, che diventa più piatta, meno interessante. Il romanzo merita in ogni caso la lettura e la storia scorre veloce sino alla conclusione.

Colpiscono anche dell’autrice l’originalità dei temi, la capacità di raccontare mondi e situazioni inusuali, di sollevare la superficie della realtà, facendone emergere i diversi livelli che nel tempo hanno contribuito a costituirla. Non poco, direi.

Dalla presentazione dell’editore:

Paula Karst si iscrive al prestigioso Istituto superiore di pittura a Bruxelles dove vive sei mesi intensi, calata nell’arte e dedita a imparare la tecnica del trompe-l’œil, decorando e plasmando diversi materiali minerali, vegetali e animali. L’apprendimento rigoroso, i ritmi di lavorazione serrati con grande coinvolgimento fisico rappresentano, in particolare per Paula, un momento di crescita e maturazione. Una volta diplomata, dopo un primo periodo di difficoltà, la ragazza finirà per trovarsi in grandi cantieri, soprattutto in Italia, dove a Cinecittà è incaricata degli scenari di Habemus Papam di Nanni Moretti. E dopo un ingaggio in Russia, sul set del film Anna Karenina, rientra in Francia e un suo vecchio compagno di studi le fa una proposta che si rivelerà peculiare. Le suggerisce di lavorare al grande progetto di ricreazione della grotta di Lascaux: un enorme facsimile, Lascaux iv. Come già in passato, Maylis de Kerangal ci offre un romanzo di formazione, presentandoci giovani alla ricerca di sé, in una metaforica discesa nell’intimità dell’arte nel suo senso più profondo, più concreto e totalizzante.

Dopo il successo di Riparare i viventi, sul mondo dei trapianti, un romanzo di formazione ambientato nell’inconsueto mondo del trompe-l’œil, della fabbricazione di un’illusione.

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