Rosa Ghislandi recensisce Fleur Jaeggy, I beati anni del castigo, Adelphi
Sposata con un grande editore, Roberto Calasso- fondatore di Adelphi, Fleur Jaeggy scrittrice svizzera di lingua italiana ne “I beati anni del castigo” racconta con sapienza una vicenda tutta femminile e adolescenziale in un collegio dell’Appenzell in Svizzera.
Un collegio chiuso e senza identità, dove le educande costruiscono la propria immagine nel parlare, nel muoversi, nella scrittura e le caste passioni covate all’interno sotto l’indulgente severità della direttrice .
Libro scarno, silenzioso di una perfezione insopportabile, lento e dal ritmo malinconico; del resto alla domanda: “Perché scrive?” Jaeggy rispose “ Per niente….dalla vita c’è poco d’aspettarsi, no?”
Dalla presentazione dell’editore:
Un collegio femminile in Svizzera, nell’Appenzell. Un’atmosfera di idillio e cattività. Arriva una «nuova»: è bella, severa, perfetta, sembra che abbia già vissuto tutto. La protagonista – un’altra interna del collegio – si sente attratta da questa figura, che lascia intravedere qualcosa di quieto e terribile. E il terribile, a poco a poco, si scopre: è la terra di nessuno tra perfezione e follia. Lo stile limpido e nervoso, l’acutezza delle notazioni, l’intensità di questa storia fanno risuonare una corda segreta, quella che si nasconde nell’immaginario collegio da cui tutti siamo usciti. E ci lascia toccati da un’emozione rara, fra lo sconcerto, l’attrazione e il timore, come se al centro di un’aiuola ben curata vedessimo aprirsi una voragine.