Da Sandro riceviamo G. Ceronetti, Il libro di Giobbe.

Sandro annota: “Il libro di Giobbe si interroga sul dolore umano e lo trova senza senso. A circa metà troviamo il capitolo 28, che è quello che vorrei segnalare”


L’argento ha la sua sorgente e l’oro il suo crogiuolo
il ferro si estrae dal suolo il bronzo da pietra fusa

Giace lo zaffiro tra le sue pietre
la sua polvere è piena d’oro

Ma la Sapienza da dove viene?
L’Intelligenza dove si trova?

L’uomo ignora la sua figura
sulla terra dei vivi non si trova

L’Abisso dice: in me non c’è
Il Mare dice: in me non c’è

Con l’oro non puoi comprarla
con l’argento non puoi pesarla
né con loro d’Ofir Nè col safir
nè col prezioso onice la compri

Ma la Sapienza da dove viene?
L’Intelligenza dove si trova?

Agli occhi di ogni vivente è nascosta
anche agli uccelli del cielo è velata

La Perdizione dice La Morte dice
“La sua fama è volata al nostro orecchio”

Dio le sue vie ha scrutato
a lui solo il suo luogo è noto

Quando del vento il peso fissava
e dispensava l’acqua con misura
quando una legge alla pioggia dava
e un alveo alla folgore che tuona
allora la vide e la circoscrisse
la sistemò e la comprese.

Dalla presentazione dell’editore:

Tutti sanno che Giobbe, «uomo di perfetta purità», fu colpito da sventure e, infine, ulcerato nel corpo dal Male, circondato da tre amici, si rivolse al Signore per chiedere ragione delle sue sofferenze. «Iob dice che i buoni non vivono e che Dio li fa ingiustamente morire. Gli amici di Iob dicono che i cattivi non vivono e che Dio li fa giustamente morire». Lo scandaloso processo che Giobbe, il giusto, osa intentare al Signore è una immensa pietra d’inciampo che è fatale incontrare e che ogni lettura obbliga ad aggirare, con fatica e meraviglia. Guido Ceronetti, con la sua versione e il suo commento, ha cercato, nell’oscurità e nell’enigma, di offrire in tutta la loro forza oscurità e enigmi, perché questo testo, che nessuna ragione potrà mai accettare, appaia nuovamente inaccettabile, arricchito dalla scomparsa di quelle tante mitigazioni esegetiche nelle quali secoli di devozione e di empietà lo hanno avvolto. Testo principe sul male, Il Libro di Giobbe ci rassicura che il male non è quella burocratica ‘privazione del bene’ a cui teologi grandissimi lo hanno voluto ridurre, ma inarrestabile ruota del mondo; che vera offesa recano innanzitutto gli zelanti, in quanto hanno la risibile pretensione di bonificare l’esistenza, e con ciò portano morte; che «la salvezza del bene è edificante, quella del male essenziale».
Ma innumerevoli sono le maschere del testo sacro, e l’inflessibile manifestarsi della necessità del Male si congiunge – è uno dei segreti del Libro di Giobbe – con l’affermazione assoluta del possesso di Dio presente. Così l’accusato Dio, a cui Giobbe può rivolgersi col suo tribunale brutale (di una brutalità quale forse nessun’altra religione che l’ebraica ha tollerato) grazie soltanto alla grandiosa finzione di essere l’Odiatissimo-Amatissimo, speciale oggetto, per assurdo, della potenza divina e perciò specchio della sua divina doppiezza – l’accusato Dio, quando alla fine del Libro, dopo i discorsi di Giobbe e dei suoi amici spaventati dall’audacia del sofferente, prenderà la parola, non risponderà con spiegazioni pacificanti, ma congiungerà di nuovo violenza a violenza, come amore a amore, evocando l’immagine dei suoi mostri, Behemòt e Leviatàn, che toglie a Giobbe la parola e gli fa sentire la presenza della perpetua testimone di questo perpetuo processo, Hokhmah, la Sapienza.