Da Rosa Ghislandi riceviamo D. Di Pietrantonio, Mia madre è un fiume.

Rosa ci scrive: “Serafina, una donna anziana mostra i segni della malattia che le toglie i ricordi.
“Certi giorni la malattia si mangiava anche i sentimenti”. L’Alzheimer sta progressivamente peggiorando ed Esperina, una delle figlie, cerca di prendersene cura. Mia madre è un fiume come erano un fiume i suoi lunghi capelli neri sottili. È un fiume di vecchi ricordi, ne restano pochi adesso, che la figlia ne fa da scriba. Nate in un piccolo paesino dell’Appennino abruzzese; un paesino senza acqua né luce dove la scuola è raggiungibile dopo molti chilometri a piedi ma l’amore tra la madre è la figlia è andato storto fin da subito. Serafina amava le sue figlie a modo suo, lavorava duramente e le aveva educate al sacrificio; Esperina è colpevole per ogni felicità gratuita. Un rapporto fatto di poche carezze e di una figlia che ha sete di affetto “come un cane pulcioso” cerca un contatto fisico che trova solo nel sonno. Ora è la figlia che cerca di educare la madre raccontandole non favole ma il suo passato. “Mia madre è un albero. Alla sua ombra mi sono giustificata. L’albero si secca e adesso è alla scoperta”.”


Certi giorni la malattia si mangia anche i sentimenti. È un corpo apatico, emana l’assenza che lo svuota. Ha perso la capacità di provare. Allora non soffre, non vive. Le visite di controllo servono a me. Mi rassicurano, non l’ho ammalata io e l’evoluzione è lenta. Alcune abilità sono in parte conservate. L’accompagno, mi occupo di lei, sono una figlia sufficientemente buona.”

Dalla presentazione dell’editore:

Una donna, ormai anziana, mostra i primi segni della malattia che le toglie i ricordi, l’identità, il senso stesso dell’esistenza. È tempo per la figlia di prendersi cura di lei e aiutarla a ricostruire la sua storia, la loro storia. Inizia così il racconto quotidiano di piccoli e grandi avvenimenti, a partire dalla nascita della mamma, Esperia, e delle sue cinque sorelle, nate da un reduce tornato comunista dalla Grande Guerra e da una contadina dritta ed elegante, malgrado le fatiche della campagna, degli animali e della casa. I fili delle loro esistenze si svolgono dagli anni Quaranta fino ai nostri giorni, in un Abruzzo “luminoso e aspro”, che affiora tra le pagine quasi fosse una terra mitologica e lontana. Giorno dopo giorno sfilano i personaggi della famiglia, gli abitanti del piccolo paesino ancora senza acqua né luce; personaggi talmente legati a una terra avara, da tollerare a malapena trasferimenti a breve distanza, la ricerca di un lavoro, l’occasione di poter frequentare una scuola in città, partenze che si trasformano in vere emigrazioni con il solo scopo del ritorno. Sono ricordi dolcissimi e crudeli, pieni di vita e di verità, che ricostruiscono la storia di un rapporto e di un’Italia apparentemente così lontana eppure ancora presente nella storia di ognuno di noi.