Da Ramsis Bentivoglio riceviamo M.Z.Danielewski, Casa di foglie.

Daniele ci scrive: “Impossibile inquadrare in una formula l’inquietante debutto di Mark Z. Danielewski, o anche solo provare a ricostruirne la trama, punteggiata di citazioni, digressioni erudite, immagini e appendici. Quando la prima edizione di Casa di foglie iniziò a circolare negli Stati Uniti, affiorando a poco a poco su Internet, nessuno avrebbe potuto immaginare il seguito di appassionati che avrebbe raccolto. All’inizio tra i più giovani – musicisti, tatuatori, programmatori, ecologisti, drogati di adrenalina –, poi presso un pubblico sempre più ampio. Finché Stephen King, in una conversazione pubblicata sul «New York Times Magazine», non indicò Casa di foglie come il Moby Dick del genere horror. Un horror letterario che si tramuta in un attacco al concetto stesso di «narrazione». Qualcun altro l’ha definita una storia d’amore scritta da un semiologo, un mosaico narrativo in bilico tra la suspense e un onirico viaggio nel subconscio. O ancora: una bizzarra invenzione à la Pynchon, pervasa dall’ossessione linguistica di Nabokov e mutevole come un borgesiano labirinto dell’irrealtà. Impossibile inquadrare in una formula l’inquietante debutto di Mark Z. Danielewski, o anche solo provare a ricostruirne la trama, punteggiata di citazioni, digressioni erudite, immagini e appendici. La storia ruota intorno a un misterioso manoscritto rinvenuto in un baule dopo la morte del suo estensore, l’anziano Zampanò, e consiste nell’esplorazione di un film di culto girato nella casa stregata di Ash Tree Lane in cui viveva la famiglia del regista, Will Navidson, premio Pulitzer per la fotografia, che finirà per svelare un abisso senza fine, spalancato su una tenebra senziente e ferina, capace di inghiottire chiunque osi disturbarla.


“Se siete fortunati vi stancherete di questo libro, avrete la reazione in cui Zampanò aveva sperato, lo definirete inutilmente complicato, ostinatamente ottuso, prolisso – parola vostra –, assurdamente concepito, e ne sarete convinti, lo metterete da parte – anche se sento dire “da parte” e mi vengono i brividi, perché che cosa riusciamo mai a mettere da parte in realtà? – e andrete avanti, mangerete, berrete, sarete felici e soprattutto dormirete sonni sereni»

Dalla presentazione dell’editore:

“Casa di foglie, ha detto Stephen King, è il Moby Dick del genere horror. Un horror letterario che si tramuta in un attacco al concetto stesso di “”narrazione””, una storia d’amore scritta da un semiologo o un mosaico narrativo che oscilla tra la suspense e un’onirica incursione nel subconscio. Una satira dissacrante del mondo accademico. Una bizzarria à la Pynchon, pervasa dall’ossessione linguistica di Nabokov e da una passione borgesiana per i mondi possibili. Di?cile inquadrare in una formula lo straordinario esordio di Mark Z. Danielewski, o anche solo provare a ricostruirne la trama. La storia ruota intorno a un misterioso manoscritto rinvenuto in un baule dopo la morte del suo estensore, l’anziano Zampanò, e consiste nell’esplorazione, infarcita di analisi e citazioni erudite, di un film di culto girato nella casa stregata di Ash Tree Lane in cui viveva la famiglia del suo autore: William Navidson, premio Pulitzer per la fotografia, il quale finirà per svelare l’esistenza di un abisso senza fine, spalancato su una tenebra senziente e ferina, in grado di inghiottire chiunque osi disturbarla.”