Da Lorenza Rappoldi riceviamo L. Foschini, Il cappotto di Proust.

Lorenza ci scrive: “Quest’anno, o meglio, per questa sessione, ho scelto libri curiosi e divertenti (e sempre ben scritti).”


“Questo non è un racconto immaginario, tutto quello che ho scritto
è realmente accaduto. I protagonisti di questa storia sono veramente esistiti, ma nel ricostruirne i passaggi, nel leggere le carte, nel conoscere più da vicino le persone che l’hanno vissuta, ho scoperto che importanza hanno dettagli anche minimi. Oggetti senza valore, mobili di dubbio gusto, persino un vecchio cappotto sdrucito.
Le cose più comuni, infatti, possono svelare scenari di inaspettata passione.”

Dalla presentazione dell’editore:

«Mi avvicino lentamente a piccoli passi, sorridendo per l’imbarazzo e mi accosto al tavolo. Davanti a me c’è il cappotto, adagiato sul fondo della scatola, posato su di un grande foglio come su di un lenzuolo: irrigidito dall’imbottitura di carta che lo riempie, sembra davvero rivestire un morto. Dalle maniche, anch’esse imbottite, escono ciuffi di velina. Mi sporgo di più, piegandomi sul piano di metallo dove è poggiata la scatola, mi sembra che vi sia al suo interno un fantoccio senza testa e senza mani. Pieno, corpulento, con un ventre sporgente.»
Parigi, rue de Sevigné: Lorenza Foschini sfiora emozionata il liso cappotto appartenuto all’amato scrittore Marcel Proust. È arrivata a scovarlo, dimenticato in una scatola di cartone, tra i fondi del Musée Carnavalet. Non è una reliquia qualsiasi: Proust vi era particolarmente affezionato, al punto da non volersene mai separare, neppure in casa, quando scriveva. Ma è soprattutto la storia del suo ritrovamento ad affascinare la Foschini, che, partendo da questo primo indizio e affidandosi alla potente e molto proustiana capacità evocativa degli oggetti, ricostruisce le vicende di alcuni dei personaggi che hanno gravitato intorno alla vita dell’autore della Recherche.
A cominciare da Jacques Guérin, industriale del profumo, ma anche raffinato bibliofilo e collezionista, che, entrato in contatto per una pura coincidenza con il mondo di Marcel, farà della ricerca di reliquie proustiane la sua ossessione, salvando manoscritti, quaderni di appunti e persino elementi del suo mobilio. C’è poi il fratello medico di Proust, Robert, iracondo e sospettoso, costretto a misurarsi con editori esigenti, nell’impari impresa di pubblicare postumi gli inediti di quello che è ormai uno scrittore famoso; e l’acida moglie di questi, Marthe, la quale mal sopporta quel cognato «scandaloso» e «bizzarro» che con la sua omosessualità ha disonorato la rispettabilità della famiglia, e che, dopo la morte del marito, arriverà a gettare nel fuoco molte carte preziose.
Storia di un’ossessione, Il cappotto di Proust è al tempo stesso un’elegante rievocazione della società parigina di inizio secolo, popolata di scrittori e artisti quali Apollinaire, Violette Leduc, Erik Satie e Picasso. E anche un sentito omaggio ai particolari più umili dell’esistenza: dettagli minimi, «oggetti senza valore, mobili di dubbio gusto, persino un vecchio cappotto». Perché proprio le cose più comuni possono, talvolta, «svelare scenari di inaspettata passione».