Da Paolo Coletti riceviamo P. Rumiz, La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli Editore.
“Se una sera d’estate in Dalmazia senti un canto di montagna venire da una vela all’ancora, non aver dubbi: è una barca di triestini. Gente strana, che confonde le baie con le valli, le isole con le cime, le taverne d’angiporto con i rifugi di montagna. Le loro ciurme spensierate sottolineano cantando questa visione anarchica del lo spazio. All’uopo, scelgono con cura baie e cale defilate, capaci di rimbombare come anfiteatri; scandagliano a orecchio il mare di casa per costruire una geografia di spazi conviviali, luoghi dalla buona acustica – rocciose casse armoniche sigillate dalla boscaglia – dove l’umidità a pelo d’acqua porta ogni bisbiglio a distanze triple che in terraferma. “

Dalla presentazione dell’editore:
Che cosa sono le montagne italiane? Quale identità portano con sé? Alpi e Appennini disegnano, insieme, una sorta di grande punto interrogativo. Che ha due risposte diverse. Un viaggio di ottomila chilometri che cavalca la lunga gobba montuosa della Balena-Italia lungo Alpi e Appennini, dal golfo del Quarnaro (Fiume) a Capo Sud (punto più meridionale della Penisola). Esso parte dal mare, arriva sul mare, naviga come un transatlantico con due murate affacciate sul mare, e lungo tutto il percorso evoca metafore marine, come di chi veleggiando forse vola – in un immenso arcipelago emerso. Trovi valli dove non esiste elettricità, grandi vecchi come Bonatti o Rigoni Stern, ferrovie abitate da mufloni, case cantoniere e paracarri da leggenda, bivacchi sotto la pioggia in fondo a caverne, santuari dove divinità pre-romane sbucano continuamente dietro ai santi del calendario. E poi parroci bracconieri, custodi di rifugi leggendari, musicanti in cerca di radici come Francesco Guccini o Vinicio Capossela. Un’Italia di quota, dove la tv sembra raccontare storie di un altro pianeta. Le due parti del racconto, Alpi e Appennini, hanno andatura e metrica diversa. Le Alpi sono pilastri visibili, famosi; sono fatte di monoliti bene illuminati e sono transitate da grandi strade. Gli Appennini no: sono arcani, spopolati, dimenticati, nonostante in essi si annidi l’identità profonda della Nazione. Storie che scivolano e volano insieme ai luoghi e parlano della parte più segreta del nostro paese.
