Da Lorenza Rappoldi riceviamo I. Compton Burnett, Servo e serva.

Nel presentarci questo romanzo e la scrittrice Compton Burnett Lorenza ci scrive: “Come ha commentato Natalia Ginzburg “Cercai tutti i suoi romanzi…a un tratto capii che li amavo in modo furioso; che ne avevo gioia e consolazione; vi regnava una chiarezza allucinante, nuda e inesorabile”. Anche per me è stato così. Vorrei segnalare “Servo e serva”. Ciò che più mi ha colpito in questo libro sono le descrizioni ed i pensieri dei 5 bambini: Sarah, Marcus, Jasper, Tamasin e Avery. Talmente belle che mi sono permessa di trascriverle (in allegato).


“Fa fumo, quel camino?”. Disse Horace Lamb.
“Così sembrerebbe, mio caro ragazzo”.
“Non ho chiesto cosa sembra. Ho chiesto se fa fumo”.
“Non sempre le apparenza conducono alla verità”, disse suo cugino. “Ma in questo caso non abbiamo altre vie per arrivarci”.

Dalla presentazione dell’editore:

Dopo Più donne che uomini e Il capofamiglia, accolti con grandissimo entusiasmo, prosegue la pubblicazione di Ivy Compton-Burnett, autrice fondamentale del Novecento inglese amata dai più grandi scrittori.

Il pater familias Horace Lamb, nobile tirannico, sadico e avaro, trascorre le giornate vessando la servitù e i numerosi figli (ma non la consorte: fra i due è lei quella ricca). Insieme a lui e alla moglie Charlotte vive il cugino Mortimer, uomo al contrario molto pacifico, che non si è mai sposato, è nullatenente ed è segretamente innamorato di Charlotte, la quale altrettanto segretamente lo ricambia. Quando la donna parte per un lungo viaggio in America l’equilibrio della casa traballa: il nuovo precettore dei bambini, Gideon, la sua opprimente madre Gertrude e la remissiva sorella Magdalen entrano con prepotenza nelle dinamiche familiari e rimescolano le carte in tavola… E nel consueto gioco di sotterfugi, cattiverie e dialoghi avvelenati che come sempre domina le pagine di Compton-Burnett, la servitù si riserva questa volta un ruolo di rilievo, conquistando a poco a poco la scena e assurgendo al ruolo di irriverente protagonista.
Patrimoni e matrimoni, tradimenti e crudeltà quotidiane: Ivy Compton-Burnett al suo meglio, in un romanzo che, insieme a Il capofamiglia, lei stessa considerava il suo preferito.

«Ivy Compton-Burnett è l’amore della mia vita. Se non riesco a scrivere, bastano un paio d’ore con Ivy e mi rimetto in pista… non c’è nessuna come lei».
Hilary Mantel

«Trascorsi molte notti felici leggendo i romanzi di Ivy Compton-Burnett. Era impossibile non accorgersi che aveva qualcosa di unico».
Rebecca West

«Cercai tutti i suoi romanzi… a un tratto capii che li amavo in modo furioso; che ne avevo gioia e consolazione; vi regnava una chiarezza allucinante, nuda e inesorabile».
Natalia Ginzburg

«Ivy Compton-Burnett, una Jane Austen novecentesca, impietosa e senza illusioni».
Paolo Bertinetti, «TTL – La Stampa»

«Sotto gli incessanti e meravigliosi dialoghi, si celano drammi familiari che riecheggiano Sofocle ed Euripide».
Giovanni Pacchiano, «Robinson – la Repubblica»


A completamento Lorenza ci ha anche mandato questi allegati. Questi i 5 ragazzi citati nel libro:

Sarah non lo contraddisse. Era una ragazza di tredici anni di aspetto ancora fanciullesco, la figura minuta e asciutta, i capelli neri e lisci, il profilo scialbo della madre, l’ampia bocca arcuata di Emilia e begli occhi grigi e limpidi. Il suo abito migliore, consumato e degradato dall’uso quotidiano, le stava piccolo e le calze e le scarpe erano rattoppate, una cosa di cui sembrava perfettamente consapevole. Lo sguardo che lanciò al padre poteva essere apertamente ostile, se ciò fosse stato possibile; ed era possibile.


“E cosa te ne fai dell’acqua ghiacciata?”
“Occupa più spazio dell’acqua normale”, disse Marcus senza fornire ulteriori dettagli sulla natura del suo interesse ma limitandosi a mettere il piattino accanto alla finestra. Era un ragazzino di undici anni piccolo di statura ma robusto, con un viso rotondo e innocente, la capigliatura nera e grandi occhi verdi. Indossava un logoro completo alla marinara che offriva asilo anche ai suoi numerosi sudici averi. Il suo abbigliamento era persino più sciatto di quel che al sua età giustificava, ma lui non ne sembrava consapevole.


Jasper si interruppe in una dimostrazione di buona volontà e con le dita sudice e corte cercò i suoi averi, meno numerosi di quelli di suo fratello per via dello stato ancora più precario dei suoi vestiti. Lui e Marcus portavano abiti troppo piccoli, ma comprarne di nuovi avrebbe richiesto uno sforzo d’attenzione ed un esborso economico, e nessuno vi aveva accennato.
I suoi occhietti chiari cercarono quelli del padre per sondarne l’umore, e sul suo bel viso semplice non c’era traccia di’inquietudine.


“E tu perché te ne stai seduta da sola a leggere, Tamasin, invece di giocare con gli altri?”, disse Horace.
“Per leggere bisogna star soli”, disse una bambina di dieci anni con un libro aperto tra le mani. “E anche per non far niente si deve star soli. Aspettiamo solo che il tempo passi”.
“Che maniera di parlare del tempo, la cosa più preziosa che abbiamo! Hai detto una cosa abominevole”.
“Noi ne abbiamo in abbondanza e non serve a molto. Non sappiamo che farcene”.
Tamasin si voltò verso il padre e gli piantò gli occhi addosso. Sapeva di avere gli occhi di sua madre e sapeva anche, confusamente, che lui non poteva sottrarsi al suo giudizio.


Il più piccolo, un bimbo di sette anni, il primo ad avere più di un anno di differenza da chi lo aveva preceduto, si mise a correre obbedendo all’ordine paterno. Aveva gli stessi occhi grigi di Sarah e gli stessi lineamenti indefiniti di Tamasin, e aveva quell’aria supplice e dipendente che hanno sempre gli ultimi nati. Jasper e Tamasin non l’avevano mai avuta, mentre Marcus l’assumeva di tanto in tanto, quando era malato o turbato da qualcosa.


Infine Lorenza ci allega anche la prefazione dell’editore a firma Deborah Donato.

Il libro della Compton-Burnett ci porta all’interno della famiglia Lamb, nelle dinamiche oppressive e ipocrite di una ricca famiglia britannica, costituita da Horace e Charlotte, il cui «modo peculiare di non salutarsi segnalava inequivocabilmente che erano moglie e marito», da Mortimer Lamb , dai figli della coppia e dalla zia di Mortimer e Horace, Emilia Lamb, una donna di settantacinque.

Ai membri della famiglia si affianca la servitù, che subisce le vessazioni continue di Horace. L’apertura del romanzo è scoppiettante e vede in un banale incidente con il caminetto, l’entrata in scena delle differenti personalità dei personaggi. È un espediente teatrale ed è di certo una cifra dello stile della Compton-Burnett: affidare ai dialoghi e alle reazioni davanti a banali eventi, la conoscenza dei personaggi. Come notò Alberto Arbasino i libri di Ivy Compton-Burnett devono molto al teatro classico o shakespeariano (del resto l’autrice era laureata in lettere classiche e fece una tesi sulla tragedia greca) per gli intrighi, i drammi segreti, ma la drammaticità dei sentimenti in gioco non impedisce un’aria da commedia brillante (ferocemente sarcastica).