Sabrina del Sordo recensisce T. Mann, I Buddenbrook.
“Confesso candidamente che non sono stata in grado di recensire come avrei voluto quest’opera, perciò mi limiterò ad esprimere le sensazioni che mi ha suscitato, senza svelare la trama nei particolari per non dispiacere a chi non l’ha ancora letta e vorrebbe farlo.
L’ho “ascoltata” come fosse una sinfonia.
Mann si è comunque ispirato alla sua famiglia, anch’essa titolare di una ditta di granaglie, anch’essa residente in Lubecca. Suppongo quindi che abbia attinto, per la creazione di tutti i personaggi, a ricordi personali.
Si apre con una scena di impatto visivo che ci colloca immediatamente all’interno di questa famiglia, all’apice del suo fulgore, con il patriarca, la moglie, figli e nipoti. Tutto luccica: si preparano al pranzo di inaugurazione della loro nuova casa, già appartenuta ad una famiglia decaduta. E’ una visione corale, in cui le voci degli ottoni si fondono e si alternano a quelli degli archi e dei legni: trilla la vocina di Antonie “Tony”, ancora bambina, che gran parte avrà nella vicenda, mentre sua madre zufola con la propria risatina…
Di questa casa viene però data una descrizione parziale, quasi l’autore non desideri che il lettore violi l’intimità dei suoi occupanti: soltanto la grande sala da pranzo, dall’arredamento massiccio e forse un po’ kitsch, il colonnato, il fumoir e la sala dei biliardi. Più tardi, il retro della casa si scoprirà essere in rovina, così come un bubbone scoperto all’improvviso rivela tardivamente il morbo letale.
Le vicende personali dei protagonisti si intrecciano, si fondono, interagiscono o svaniscono magari per poi riapparire, in un continuo contrappunto. A metà libro ecco scoperto il cuore pulsante: la discussione fra il Maestro Pfühl, organista, dalla magra figura e gli arruffati capelli variegati, un misto fra Paganini, Vivaldi e Beethoven, e Gerda, mamma del piccolo Johann (Hanno), suo allievo, sulla moderna musica wagneriana, che il Maestro considera ”caos, demagogia, bestemmia e demenza, la fine di ogni morale”. La musica è tutt’altro: è ordine, matematica, soggetta a proprie regole che non tollera vengano rovesciate in nome dell’arte. E così dovrebbe essere la società umana: ordinata, funzionante come un orologio dagli ingranaggi ben oliati. Ma il destino tesse le sue trame silenzioso, lega sottili fili attorno ai piedi delle persone, che, ignare della trappola, continuano ad agitarsi, perse nei propri affanni: d’amore, di affari, di odii, fino a che, tirato un solo filo, esse cadono come burattini. E il destino, a sua volta, è manovrato dalla Fortuna e dalla Morte: esse vanno a braccetto, cieche entrambe, con la differenza che la Fortuna dà e toglie, la Morte toglie soltanto, colpendo a casaccio, senza pietà, animalescamente: essa può dar tempo di prepararsi e preparare i familiari, o prenderti di volata, con una morte stupida, “per un dente”, magari, o crudelmente, quando si tratta di un ragazzino che non ha fatto in tempo ad annusare tutti gli odori della vita.
Di questa famiglia, di questa casata, alla fine, stremata da rovesci finanziari, guerre, amori sbagliati, traslochi e follie varie, rimangono soltanto le donne: è come un fiume che si trasforma via via in un torrente, poi in un ruscello, alla fine in un misero rivolo che si perde fra l’erba.”
Dalla presentazione dell’editore:
Il primo grande romanzo di Thomas Mann racconta la storia di una famiglia tedesca dell’Ottocento che dopo anni di prosperità è esposta a una tragica decadenza: le basi di un patrimonio e di una potenza che sembravano incrollabili sono sgretolate da una forza ostinata e segreta. Opera di ispirazione autobiografica, questo romanzo, capolavoro della letteratura europea, esprime compiutamente la concezione estetica e politica dello scrittore tedesco, il suo rimpianto per una mitica e solida borghesia, la coscienza della crisi di un mondo e di valori destinati inesorabilmente a scomparire.