Da Mariella Ortica riceviamo T. Mann, La montagna incantata.

Mariella ci scrive: “Ciao Sandro! Ti mando le foto (spero leggibili, anche se venute malissimo, perché l’edizione che ho è quella de I Meridiani, che si aprono male). La parte che mi è piaciuta di più finora è quella tra pag.7 e pag.8, in cui è descritto ciò che il protagonista vede dal finestrino durante un viaggio in treno. Però non so capire se davvero è evocativa in sé o se mi ha colpita perché l’ho letta sul terrazzo, all’inizio della reclusione, in un pomeriggio di sole limpido di tramontana, davanti a un panorama di tetti e di mare azzurro e lontano. Nelle altre pagine  che ti mando ci sono riflessioni sul vissuto del tempo, anche queste forse non apprezzabili da tutti, ma significative per chi non ha più vent’anni e ha il tempo di guardarsi indietro.Sto leggendo lentamente, perché non c’è fretta, e perché sto lavorando moltissimo, molto più di prima, on line, insegno matematica in un liceo classico ‘da remoto’, come si dice adesso. Certamente altri romanzi di Mann reggono il confronto. Con il gruppo di lettura Teatro della Tosse-Feltrinelli qualche anno fa abbiamo preparato e letto in pubblico ‘Morte a Venezia’; l’ho trovato bellissimo, forse ancora di più della Montagna magica, forse addirittura uno dei testi più belli che abbia mai letto.”


“Sospeso tra quelli e l’ignoto, si domandava come si sarebbe trovato lassu’ in alto. Non era forse improvvido e rischioso che uno come lui, avvezzi fin dalla nascita a respirare solo a qualche metro sopra il livello del mare, si fosse lasciato spedire di punto in bianco in quelle regioni estreme senza neanche aver trascorso qualche giorno in una località a mezza altezza” (pag.7)

“Nel paesaggio si distingueva in lontananza un lago, le acque erano grige, e presso le sue rive e sulle alture circostanti si stendevano neri boschi di abeti che più in alto si diradavano fino a svanire del tutto per far posto ad un terreno roccioso scabro e striato di nebbia.” (pag. 8)

“In fondo quell’acclimatarsi a luoghi stranieri , il sia pur faticoso adattarsi e cambiare abitudini cui ci si sottopone per l’amore della cosa in sé, e però con il preciso proposito di rinunciarvi e tornare alla condizione precedente non appena il processo si sia compiuto o subito dopo, è una ben strana faccenda.” (pag. 150)

“Quel che chiamiamo noia è dunque a rigore un patologico accorciarsi del tempo conseguente alla monotonia: ma grandi unità temporali, se caratterizzate da ininterrotta uniformità, si contraggono in modo terrorizzante; se un giorno è uguale a tutti, tutti sono uno solo; e nella perfetta omogeneità anche la più lunga delle vite sarebbe vissuta come brevissima , svanita in men che non si dica. L’assuefazione è un assopimento o, meglio, un indebolimento del senso del tempo, e se gli anni giovanili vengono vissuti lentamente, la vita successiva corre, invece, sempre più veloce, ma anche questo non è che un effetto della assuefazione.” (pag. 151)

Dalla presentazione dell’editore:

“‘La montagna incantata’ è un fedele, complesso, esauriente ritratto della civiltà occidentale dei primi decenni del Novecento e, nella sua incantata fusione di prosa e poesia, di vastità scientifica e di arte raffinata, è il libro, forse, più grandioso che sia stato scritto nella prima metà del secolo.” Con queste parole, un entusiasta Ervino Pocar concludeva l’introduzione all’edizione della “Montagna incantata” da lui tradotta nel 1965 che da allora ha fatto conoscere e apprezzare ai lettori italiani questo Bildungsroman straordinariamente complesso ambientato in un sanatorio svizzero, il celebre Berghof di Davos. Quando il protagonista, il giovane Hans Castorp, vi arriva, è il tipico tedesco settentrionale, un solido e rispettabile borghese. A contatto con il microcosmo del sanatorio il suo carattere subisce un’evoluzione e un incremento: passa attraverso la malattia l’amore, il razionalismo e la gioia di vivere, il pessimismo irrazionale, senza che nessuna di queste posizioni lo converta. Ma in mezzo a tante forze contrastanti, Castorp trova il proprio equilibrio. In questo mondo dove il tempo si dissolve e il ritmo narrativo si snoda in sequenze di ore, giorni, mesi e anni resi tutti indistinti dalla routine quotidiana, egli può liberamente crescere. Paradossalmente (l’umorismo di Mann),dopo essere stato convertito alla vita Castorp tornerà alla pianura per perdersi nell’inutile strage della “grande” guerra. Prefazione di Giorgio Montefoschi.