Da Vito Palazzetti riceviamo:

N. Kirino, Una storia crudele, Giano (trad. G. Coci)

“Non ho molti ricordi felici legati alla mia infanzia. Qualcuno sostiene che la mia visione delle cose sia stata alterata dalla vicenda del sequestro, eppure non posso fare a meno di pensare che l’età infantile sia di per sè un periodo della vita spesso avvolto da ombre cupe.”

kirino

dalla presentazione dell’editore:

Ubukata Keiko, trentacinquenne scrittrice di successo nota con lo pseudonimo di Koumi Narumi, e da qualche tempo in crisi di creatività, scompare lasciando un’unica traccia di sé: un manoscritto intitolato “Una storia crudele”. Atsuro, il marito avvezzo alle stranezze e alla volubilità della donna, lo trova in bella vista sulla sua scrivania con il seguente post-it appiccicato sopra: “Da spedire al Dott. Yahagi della Bunchosha”. Editor della casa editrice di Koumi Narumi, Yahagi si getta subito a capofitto nella lettura dell’opera, nella speranza di avere finalmente tra le mani il nuovo best seller dell’acclamata autrice. Più si addentra nella lettura, tuttavia, più rimane sconvolto e, leggendo l’annotazione finale dell’opera: “Ciò che è scritto in queste pagine corrisponde alla pura verità. Gli eventi di cui si parla sono accaduti realmente”, non può fare a meno di avvertire un brivido corrergli lungo la schiena. Koumi Narumi narra, infatti, dell’infanzia di Keiko, vale a dire della propria fanciullezza. Descritta come una bambina di dieci anni triste e solitaria. Una sera, sperando forse di trovarvi il padre, si spinge fino a K, un quartiere ad alta concentrazione di bar e locali a luci rosse. Là si sente a un tratto picchiettare con delicatezza sulla spalla. Sorpresa, si volta di scatto e scorge un giovane uomo con in braccio un grosso gatto bianco. Frastornata, incuriosita, Keiko lo segue in un vicoletto buio, dove lo sconosciuto le infila un sacco nero sul capo e la rapisce.

e anche:

Koumi Narumi fa perdere le tracce di sé lasciando al marito il suo ultimo dattiloscritto, intitolato Storia di una crudeltà. Il romanzo, che il marito invia all’editore, racconta il terribile caso di cui la scrittrice è stata protagonista da bambina: rapita da un operaio semianalfabeta all’età di dieci anni, è stata da questi segregata in casa sua per circa un anno. La relazione era resa ulteriormente ambigua e crudele da un terzo personaggio, che viveva presso lo stesso condominio e spiava i due attraverso un foro nella parete. Dopo la liberazione, la bambina stenta a recuperare la normalità, sviluppa una forza d’immaginazione in grado di alimentare il suo innato talento e che le permette di diventare, a quindici anni, una scrittrice prodigio.