Ieri sera su invito dell’autrice ho partecipato alla presentazione milanese del libro Civico 36.

La presentazione è avvenuta presso Après-Coup Bistrot in via privata della Braida: bello spazio, ben arredato, accogliente, bar e cucina ottimamente fornita e soprattutto con un palco ben attrezzato per questo genere di eventi.

Sul palco oltre al sottoscritto in rappresentanza di Prima i Lettori anche Lorenza Guerrieri, attrice, bravissima nel leggere alcuni brani tratti dal libro, Luisa Bischetti di Donne allo Specchio e la pittrice Milena Guercioli, che per l’occasione ha esposto alcune su opere.

La presentazione è stata più che altro un dialogo che ha permesso, credo, di far comprendere meglio lo stile, il contenuto e i pregi del libro.

Qui sotto riporto il brogliaccio che mi ero preparato, così da offrire qualche parola in più su ciò che ci si può attendere dalla lettura dell’ultima fatica di Paola Nicoletti.


Civico 36 è una raccolta di racconti. Iniziamo a dire che Paola passando dal libro largamente autobiografico Raccontami il mare che hai dentro a questo non perde il calore di una scrittura precisa, ma partecipe.

I personaggi e le storie sono tante, 22 per la precisione, tenuti insieme dalla ventitreesima, quella dell’ottantenne orgogliosamente zitella, ex insegnante in pensione, che vive in un palazzo storico di Roma nel quartiere Prati al numero 33, di fronte quindi al Civico 36. Essendosi beccata un ictus che le ha lasciato intatto l’uso della parte destra del corpo, compresa la mano con cui scrive, ma che comunque le ha di molto limitato la mobilità, la signora osserva dalla finestra la vita dei suoi dirimpettai. Il progetto è quello di scriverne. Da qui nascono questi 22 racconti.

Chi, però, si attendesse la descrizione della vita di un caseggiato rimarrebbe deluso: qui la vita c’è ed è tanta, ma fuori, fuori da quel palazzo, in giro per la città, ma anche altrove e soprattutto non è concentrata sul microcosmo di affetti di una piccola comunità, ma si apre a ventaglio sulle tante vicende che interessano, innervano, animano la vita dei condomini, così come la signora le osserva e in parte le immagina.

Ci sono amori, delusioni, ricerca di se stessi, stupri, violenza, malattia, fantasia, morte, tutti raccontati standoci dentro, respirando quell’aria, quelle atmosfere, quegli spazi.

Sono principalmente storie di donne, ma non solo, anche se indubbiamente l’attenzione maggiore è giocata sulle loro varie età e condizioni. Bellissimo è il racconto, per esempio, del rapporto con la madre da parte di una delle tante protagoniste di questo libro, così come sorprendente per un lettore maschio come me come possa nascere, crescere e consolidarsi una profonda amicizia tra ex dello stesso uomo.

Gli uomini non ne escono male (salvo l’ex del racconto citato), se pur non si possa negare che per lo più risultino distanti e poco presenti, anche se per la verità il racconto più lungo, quello iniziale, è dedicato ad un uomo che abbandona tutto per ritrovare se stesso. E’ l’inquilino dell’ultimo piano, quello dell’attico.

In particolare questa prima e lunga storia, ma anche altre del libro, è quella che si definisce una bella storia, con un lieto fine, una storia di rinascita, di nuovo impegno, di speranza per una nuova vita, piena e soddisfacente. La scrittura a matriosca, ovvero a rivelazioni e scoperte che si susseguono nel racconto, non mi permettono di svelare altro rispetto a quanto ho appena detto, che forse è già troppo. Ma ne approfitterei solo per una brevissima riflessione sullo scrivere.

Dicevo che questa è una bella storia. Un uomo, un chirurgo, le sue vicende, la sua crisi, il suo bisogno di solitudine, con un finale aperto, ottimista, non definito, anche se come potrebbe andare lo si intuisce bene. Una bella storia. Peccato che non sia vera, ma inventata. Se fosse vera sarebbe ancora più interessante, no? Ultimamente, lo avrete notato, siamo pieni di film, sceneggiati e romanzi che vengono pubblicizzati come “tratti da una storia vera”. Evidentemente gli esperti di marketing pensano che il pubblico, noi, si sia maggiormente attratti da storie che provengono da avvenimenti realmente accaduti rispetto alle cosiddette invenzioni letterarie. A questo proposito una recente fiction televisiva americana ha come motto una frase che viene esposta a tutto schermo prima dell’inizio delle scene: questa è tutta una storia vera, salvo le cose inventate. Ecco la letteratura è così. Tutta. Paola avrà incontrato il chirurgo? Conosce l’arzilla vecchietta che abita nel quartiere Prati? Sono storie vere? Tutte le volte che sento o leggo questa affermazione non riesco a non pensare a, che so, Anna Karenina o Leopold Bloom. Anna e Leopold sono meno veri solo perché all’anagrafe di San Pietroburgo o di Dublino non risultano? Le loro storie sono meno interessanti? Ci prendono meno? Ecco questa narrata da Paola è una storia vera come quelle. La statura letteraria di Paola certo non è quella di Tolstoj o Joyce, spero non si offenda, ma questa storia, come le altre raccolte in questo libro, non è meno vera di una qualsiasi narrata sui nostri quotidiani o sentita ai telegiornali. Un uomo ha una crisi, una crisi profonda, piena di dolore e pena e piano piano ne esce. Cosa c’è di non vero in questo? E’ vero l’ambientazione è forse troppo romantica, un faro su una piccola isola nel nord della Francia, ma il senso di smarrimento, il bisogno di solitudine e di sentirsi parte della natura per poter riprendere un cammino, ecco quelle sono vere, comuni, ben descritte.

Tornando al libro nel suo insieme come avrete capito questa è un’opera corale, un po’ come certi film di Altman, ricordate, di quelli nei quali la descrizione del nostro tempo nasce dall’insieme di tutte le piccole e grandi storie dei tanti protagonisti. Ognuno dei 23 racconti, infatti, ci dice qualcosa sull’Italia di oggi, sospesa da passato e presente, e ciascuna ci svela una vita che poi rimane, chi di più, chi di meno, nella nostra memoria.