Da Stefano Piantini riceviamo W.G. Sebald, Gli anelli di Saturno.

A questo proposito Stefano ci scrive: “Non è semplice spiegare l’arte di un narratore e di un saggista di genio come Sebald (1944 – 2001) Un gigante, uno dei pochi e veri innovatori della narrativa del ‘900. Si serve delle immagini, con discrezione, rigorosamente in b/n; si serve di una cultura mostruosa, ma, come insegna la scuola anglosassone, non urina mai sulla tua testa dalla montagna del sapere, spiega perfettamente, tutto. Dire che scrive da dio non basta.

Gli Anelli sono il racconto in dieci parti di un viaggio a piedi nel desolato Suffolk, dove Sebald viveva. Ma nel racconto incontri una analisi superlativa e inattesa di La Lezione di Anatomia di Rembrandt, vedi Conrad nel Congo di Cuore di Tenebra, leggi della Guerra dell’Oppio in Cina, delle decine di milioni di morti della rivolta dei Taiping, rivivi i bombardamenti a tappeto sulla Germania nazista (Sebald era tedesco, visse in Baviera fino al 1963, poi in Inghilterra) solidarizzi con Swinburne, ti perdi nei labirinti. Il tutto sotto il segno di Saturno, il Titano, il Dio Crono, il padre degli Dei dell’Olimpo, il Tempo che divora i suoi figli, il padre dell’Arte e della Malinconia.

Sebald sarebbe stato e sarebbe un Nobel dovuto, se la Accademia non premiasse preferibilmente semi-sconosciuti, normalmente pubblicati in Braille, tradotto in Russo dal Catalano, da un madrelingua Norvegese. Così Sebald si trova in compagnia di Borges, Philip Roth, Virginia Woolf, Milan Kundera, Joyce, Nabokov, ottima compagnia. Hasta La Victoria, Siempre, e buona lettura, se deciderete di leggerlo.


“Ciò che noi percepiamo sono solo luci isolate nell’abisso dell’ignoranza, nell’edificio del mondo investito da fitte ombre.”

Dalla presentazione dell’editore:

Pellegrinaggio in Inghilterra recita il sottotitolo. E di un viaggio solitario si tratta, d’estate e per lo più a piedi, nel Suffolk, dove Sebald visse sino all’ultimo: in uno spazio delimitato da mare, colline e qualche città costiera, attraverso grandi proprietà terriere in decadenza, ai margini dei campi di volo dai quali si alzavano i caccia per bombardare la Germania. Viandante saturnino, Sebald ci racconta – lungo dieci stazioni di un itinerario che è anche una fuga – gli incontri con interlocutori bizzarri, amici, oggetti, in cui si rispecchia quella «storia naturale della distruzione» che scandisce il cammino umano e il susseguirsi degli eventi naturali. E ci racconta di altri vagabondaggi ed emigrazioni, di cui la sua vicenda personale è estrema eco: quelli di Michael Hamburger, poeta e traduttore di Hölderlin, profugo dalla Germania; di Joseph Conrad, che nel Congo conosce la malinconia dell’emigrato e gli orrori del paese di tenebra; di Chateaubriand, esule in Inghilterra; di Edward FitzGerald, eccentrico interprete della lirica persiana, una di quelle figure ascetiche, capaci di vivere con poco e nulla, a noi familiari dagli Emigrati ad Austerlitz. Si inframmezzano squarci della storia antica e d’oggi (le efferatezze del Celeste Impero, le violenze della Seconda guerra mondiale) a far da contrappunto a terremoti, diluvi, catastrofi della natura o alle sofferenze inflitte da un’economia rapace. Pellegrinaggio e insieme labirinto, nella migliore tradizione sebaldiana: ma a guidare scrittore e lettore vi è un filo. Un filo di seta: la storia della sericoltura che, muovendo da Thomas Browne, percorre carsica gli Anelli di Saturno. Nelle sue tappe Sebald declina, attraverso una narrazione dotta e visionaria, l’endiadi di lusso e sofferenza – con la vaga speranza che vi sia sopravvivenza nella metamorfosi e nel bello.