Da Benedetta Manghi riceviamo E. Haffner, Fratelli di sangue, Fazi Editore.

“…Otto ragazzi, dai sedici ai diciannove anni. Alcuni sono scappati da un istituto di rieducazione- Due hanno ancora entrambi i genitori, altri hanno madre o padre sparsi da qualche parte in Germania. Sono nati e cresciuti durante la guerra e il dopoguerra. Già quando compivano i primi passi sulle loro gambette arcuate, erano abbandonati a se stessi. I padri erano in guerra o nella lista dei dispersi mentre le madri confezionavano granate nella fabbriche di polvere da sparo e di esplosivi sputando i polmoni a furia di tossire. I bambini, che avevano le pance piene di cavolo rapa, giammai di patate, setacciavano strade e cortili in cerca di qualcosa di commestibile. Una volta diventati più grandi andavano a compiere furti di gruppo. Furti per riempirsi le pance, come piccoli e cattivi predatori. …”

manghi

 

dalla presentazione dell’editore:

Berlino, primi anni Trenta. La città pullula di adolescenti senzatetto. Alcuni sono orfani, altri sono stati abbandonati dalle proprie famiglie, altri ancora sono fuggiti dagli orfanotrofi e dai riformatori per trovare un senso di appartenenza in una delle molte gang di strada. Quella dei Fratelli di sangue è una di queste, formata da otto minorenni che si aggirano tra i vicoli nei dintorni di Alexanderplatz, vivendo di piccoli furti e prostituzione e costantemente in fuga dalle forze dell’ordine. Uniti da una catena invisibile fatta di regole non scritte, cercano il proprio posto nel mondo e sono avidi di libertà. Insieme a loro ci addentriamo nelle viscere dell’underworld di una Berlino gelida, disperata, affamata: bettole maleodoranti dove la musica imperversa fin dal mattino, teatri abbandonati trasformati in ospizi di fortuna, spettrali luna park dove prostitute bambine si offrono per un paio di giri di giostra. Un universo popolato da vagabondi e vecchi mendicanti, da artisti di strada e suonatori invalidi, da gigolò, borsaioli e spazzaneve, raccontato con il realismo più crudo, senza lasciare spazio a pietismi. Una storia vera e necessaria di amicizia e disperazione, ma soprattutto un profetico documento storico, una testimonianza dell’atmosfera di apocalittica decadenza che dominava la Germania alla vigilia dell’ascesa del nazionalsocialismo.
Uscito per la prima volta nel 1932, il libro fu bruciato nei roghi nazisti. Il romanzo viene oggi finalmente ripubblicato con grande successo in Europa e negli Stati Uniti.