Da Roberto Cornetta riceviamo:

Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, S. Zweig, Newton Compton (trad. S. Montis)

“….Non si temevano ricadute barbariche come le guerre tra popoli europei, così come non si credeva più alle streghe e ai fantasmi; i nostri padri erano tenacemente compenetrati dalla fede della irresistibile forza conciliatrice della tolleranza. Lealmente credevano che i confini e le divergenze esistenti fra le nazioni o le confessioni religiose avrebbero finito per sciogliersi in un comune senso di umanità, concedendo così a tutti la pace e la sicurezza, i beni supremi. ….”

il mondo di ieri

Dalla presentazione dell’editore:

Scritto negli anni dell’esilio e pubblicato postumo nel 1942 a Stoccolma dalla casa editrice Bermann-Fischer, Il mondo di ieri è l’opera più nota di Stefan Zweig, un’intensa e struggente rievocazione di quella Felix Austria di cui lo scrittore interpretò con sagacia i turbamenti. Dalla Vienna dei fasti imperiali, culla di uno straordinario fermento culturale, Zweig tratteggia il lento declino di un mondo che, con lo scoppio della Grande Guerra, cederà il passo a una nuova Europa: una terra mutilata, stravolta dall’odio e affamata dall’inflazione, le cui cicatrici indelebili costituiranno l’humus fertile su cui attecchirà la fatale parabola del nazismo. Il mondo di ieri è il testamento spirituale che Zweig consegna alle generazioni a venire, un’analisi lucida e appassionata della tragica eredità in cui affonderanno le radici del «mondo di domani»: il nostro.

Dalla email di accompagnamento di Roberto Cornetta:

Carissimi
Seguo con interesse le vostre iniziative e vi leggo con molto piacere. Quest’anno ho letto piu’ del solito e sono talmente affezionato ai miei libri che non mi sentirei di consigliarne uno in particolare, se non correndo il rischio di dovermene pentire immediatamente dopo. Coltivo così con piacere e senza alcun imbarazzo la mia indecisione intellettuale in un’epoca in cui certezze, superficialità e la liturgia del giudizio immediato e sommario agitato con il proverbiale rasoio di Occam, miete vittime inconsapevoli.

Il libro ahime’ vetusto ma particolarmente attuale che ho riletto a 20 anni di distanza è uno dei pochi testi di Stefan Zweig tradotti bene in italiano da Silvia Montis. Il libro di Stefan Zweig un grande della letteratura austriaca dell’epoca d’oro alla fine del XIX secolo, costituisce il testamento spirituale di uno scrittore, filosofo, storico, poeta, commediagrafo e combattente ebraico il quale, come sapete, morirà suicida con la moglie in brasile nel 1942, sotto il peso insopportabile delle vicende di indicibile barbarie in Europa pur se vissute da spettattore privilegiato oltreaceno.

Ciascuna delle ca 950 pagine andrebbe letta con l’attenzione e la cura di un verso biblico o di un passo del vangelo o di qualsivoglia opera intrinsecamente didascalica. Almeno cosi le opere di Zweig appaiono ai mei occhi.

Riflessioni sull’uomo, che ci rammentano l’anelito di Erasmo da Rotterdam, anche lui uomo non adatto al suo tempo.. C’e’ di tutto in questo lavoro enciclopedico, il senso della vita, della imponenza dell’esistenza, declinata attraverso le fragilita’ quotidiane della sconfitta che rende forti; la scuola, l’educazione, il valore della famiglia, la cultura e la liberta’ dell’individuo. E poi i temi scomodi della tradizione liquidata anche ora come un retaggio ammuffito. Ed il valore etico di una ideologia qualsiasi essa sia vissuta secondo i canoni della religiosita’ (nulla a che vedere con la religione). Zweig ci parla della sua ammirazione, ed amicizia con Pirandello. Dell’importanza di saper leggere tra le righe ed interpretare rinunciando ai facili ozi del conformismo. Tanto: forse troppo.

Ci ho riflettuto un po’ senza ‘ riuscire ad estrarre una pagina a beneficio di chi non conosca Zweig se non a costo di apparirvi riduttivo e non cogliere il senso di un opera il cui valore appare immanente. E cosi mi permetto con una provocazione tutta mia di proporvi la lettura della mirabile prefazione della traduttrice Sivia Montis, scrittrice di rara cultura e sensibilita’. una prefazione che brilla diciamo pure di luce propria e che merita riflessioni autonome sul linguaggio assai trascinante quanto denso.

Nel corso della lettura del volume di Zweight incontreremo lungo percorsi ombreggiati la nostra storia di europei, da Freud, Rodin, Baudelaire, ed ancora Marx e Schopenauer, Nietsche inconsapevole progenitore frainteso del mito ariano, sino a Wagner ripreso nei momenti di umana intimita’: tutti i protagonisti sfilano avvolti dal fumo dei sigari toscani di Francesco Giuseppe scelti dall’imperatore solo per via del loro costo assai contenuto rispetto ai cubani……

Buona lettura, roberto

Dalla prefazione di Silvia Montis:

““Cercai di sapere se Erasmo da Rotterdam fosse
di quel partito. Ma un mercante mi rispose:
«Erasmo est homo pro se».
Epistolae obscurorum virorum, 1515

Scrivere sulle valigie, su un treno in corsa, rannicchiati su un predellino in una notte di novembre, nelle orecchie il vento e il fischio della locomotiva. Scrivere in mezzo all’oceano, a bordo di un piroscafo, cullati dal beccheggio della prua che ara le onde come un vomere scuro, inondati dal fiume di luce che si riversa dal cielo dei mari del Sud. La scrittura di Stefan Zweig è anzitutto questo: un movimento. Non nel senso che Zweig fu uno scrittore di viaggio – benché egli sia stato, questo sì, un grande viaggiatore, per passione, per scelta e, verso la fine della sua vita, persino per necessità. Il viaggio nel suo caso si consuma nelle parole, quasi che quel costante essere in transito, quella perenne vibrazione dei sensi si siano trasmessi dalla penna alla pagina. La tessitura narrativa di Zweig – il modo in cui cuce e imbastisce le sue storie, in cui spiega i periodi sulla carta – ha un movimento sinuoso, sensuale, mai prevedibile. Eppure, la sua è una scrittura lucida, cristallina, impietosa, simile a un bisturi sapiente che seziona l’epidermide delle cose.

Tendendo l’orecchio a Freud, si potrebbe pensare che questo processo di dissezionamento proceda in maniera sistematica dalla superficie verso il profondo, scandagliando i confini dell’inconscio. La faccenda in realtà è un po’ più complessa. Perché Zweig – che di Freud fu un grande ammiratore e persino intimo amico – sapeva bene che la superficie stessa è per sua natura scabrosa e accidentata, e che una verità al cento per cento, a conti fatti, non esiste. Che le pulsioni del sottosuolo – le più segrete, le più inconfessabili – hanno un legame continuo, intimo e ineludibile, persino con la più inossidabile delle apparenze, perforandone il manto notturno come un tizzone ardente. Il movimento della scrittura di Zweig gioca più su un piano orizzontale: dal di fuori verso l’interno. È legata da una cifra comune, una linea melodica che in qualche modo accompagna tutti i suoi personaggi: un movimento, appunto. Nella postfazione a una delle raccolte di novelle Rüdiger Görner sintetizza questo passaggio con una bella espressione: i personaggi di Zweig vengono sempre colti in un momento fatale, critico, quasi borderline. Sono figure «an die Schwelle», cioè “sulla soglia”: non ancora dentro la verità – o una verità – della propria esistenza, eppure posti in qualche modo di fronte a un interrogativo irrinunciabile del proprio destino, a una paura antica, dissepolta e fumante, che è anche lo specchio più profondo della loro natura.

Gli esempi sono innumerevoli. Da Edgar, giovane protagonista di Bruciante segreto, ritratto in un cupo, violento rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta, che paga un prezzo altissimo per la perdita della propria innocenza; alla cruda e penetrante Lettera di una sconosciuta, rievocazione di un amore dolente e feroce, nutrito nel buio, la passione totale di una bambina che si scopre donna; a Paura, racconto dai ritmi serratissimi di un’adultera, ricca e viziata borghese che, perseguitata da un’inafferrabile ricattatrice, è costretta a spogliarsi poco a poco delle illusioni di un’intera esistenza; a Mendel dei libri, l’opera più struggente di Zweig, intitolata non a caso Momenti fatali (in originale Sternstunden der Menschheit, ovvero “Ore stellari dell’umanità”), quattordici miniature storiche in cui si tratteggiano alcuni passaggi cruciali nella storia dell’uomo: la caduta di Bisanzio, Händel ritratto nelle ore decisive della composizione del Messiah, incapace di mangiare e di dormire, e un treno piombato che, nel pieno della Grande Guerra, sfreccia attraverso le pianure della Germania, con a bordo Lenin diretto verso la Russia e la sua Rivoluzione.

È forse bene precisare, tuttavia, che non tutti i personaggi di Zweig escono “vincitori” da questa personalissima lotta col dèmone. Molti di essi assaporano il gusto acre della polvere, lo smarrimento del piede che affonda nel vuoto, aggrappandovisi come a un ultimo, rovente brandello di verità.”