Da Fernanda Sacchieri riceviamo:

KAREN BLIXEN LA MIA AFRICA
Feltrinelli – I Narratori – Undicesima edizione – ottobre 1986

Pagg. 11 – 221 -222

La fattoria sulla collina673433

In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani Ngong. A centocinquanta chilometri più a nord su quegli altipiani passava l’equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini, come la sera, erano limpidi e calmi, e di notte faceva freddo.
La posizione geografica e l’altezza contribuivano a creare un paesaggio unico al mondo. Nulla che fosse grasso e lussureggiante: era un’Africa distillata lungo tutti i suoi milleottocento metri di altitudine, quasi l’essenza forte e raffinata di un continente. I colori, asciutti ed arsi, parevano colori di terracotta. Gli alberi avevano un fogliame delicato e leggero, di una struttura diversa da quelli di Europa: non si curvava in archi e cupole, ma si tendeva in strati orizzontali, il che dava agli alberi, alti e solitari, l’aspetto un po’ delle palme, o un piglio eroico e romantico di navi tutte attrezzate e pronte a partire, ma con le vele non ancora spiegate: e al margine dei boschi un’apparenza strana, come se l’intero bosco vibrasse leggermente. Nelle grandi pianure crescevano, sparsi, i vecchi spineti nudi e torti, l’erba aveva l’odore pungente del tipo e del mirto delle paludi: in certi punti il profumo era così forte da far dolere le narici. Tutti i fiori che sbocciavano sui prati o fra i rampicanti e le liane della foresta, erano piccolini come quelli dei bassopiani, soltanto all’inizio delle grandi piogge spuntavano gigli monumentali, dal profumo pesante. Il respiro del panorama era immenso.

Uccelli africani
Al principio delle grandi piogge, l’ ultima settimana di marzo o la prima settimana di aprile, nei boschi dell’Africa, ho sentito l’usignolo. Non era il canto pieno: solo poche note le prime battute di un concerto, una prova, interrotta di colpo e poi ripresa. Era come se. nella solitudine dei boschi stillanti di pioggia, qualcuno, su un albero, stesse accordando un violoncello. Ma era la stessa melodia rigogliosa e dolce. Che di lì a poco avrebbe riempito anche i boschi dell’Europa, dalla Sicilia a Elsinore.
Vi erano le cicogne bianche e nere che, nel nord Europa, fanno il nido sui tetti di paglia dei villaggi. Ma, in Africa, a confronto con uccelli alti e imponenti come il marabù e il serpentario, sembrano meno maestose. Hanno abitudini diverse che in Europa, dove vivono come brave coppie di sposi e sono simbolo di felicità domestica: vanno insieme in grandi stormi, come membri di una banda. Le chiamano uccelli-locusta perché si nutrono abbondantemente di locuste: dove c’è un’invasione compaiono subito.

 

Nella quarta di copertina si legge:

Vissuta fino al ’31 in una fattoria dentro una piantagione di caffè sugli altipiani del Ngong, Karen Blixen ha descritto con una limpidezza senza pari il suo rapporto d’amore con un continente. Sovranamente digiuna di politica, ci ha dato il ritratto forse più bello dell’Africa, della sua natura, dei suoi colori, dei suoi abitanti. I Kikuyu che nulla più può stupire, i fieri e appassionati Somali del deserto, i Masai che guardano dalla loro riserva di prigionieri in cui sono condannati a estinguersi l’avanzata di una civiltà “che nel profondo del loro cuore odiano più di qualsiasi cosa al mondo”. Uomini, alberi, animali si compongono nelle pagine della Blixen in arabeschi non evasivi, in una fitta trama di descrizioni e sensazioni che, oltre il valore documentario, rimandano alla saggezza favolosa di questa grande scrittrice, influenzando in modo determinante i contenuti della sua arte: “I bianchi cercano in tutti i modi di proteggersi dall’ignoto e dagli assalti del fato; l’indigeno, invece considera il destino un amico, perché è nelle sue mani da sempre; per lui, in un certo senso, è la sua casa, l’oscurità familiare della capanna, il solco profondo delle sue radici.”